24/06/11

Underworld e il postmoderno


In costante tensione tra approfondimento e parcellizzazione DeLillo tratteggia l'affresco postmoderno. Un libro/ne tosto, denso, a suo modo epico, che parla di uomini e di storie -soprattutto di storie- come tratteggi di una tela più grande. Una società reale e complessa rappresentata attraverso più realtà distinte. Il racconto dell'America immersa nelle sue sfacettature, nelle tappe evolutive della sua storia e nelle individualità dei suoi protagonisti. 
De Lillo gioca col tempo storico, la realtà sociale e la struttura narrativa passando dal baseball all'FBI fino al Kazakistan, da J. Edgar Hoover a Lenny Bruce per arrivare a Suor Edgar. Dalle scorie delle centrali alle scorie della modernità.
DeLillo scava nella spazzatura dell'uomo, del tempo e dell’oggettualità, nel vissuto consumato, nella storia che scorre all'interno di un singolo istante sempre più veloce e immediato mentre attraversa una rete di relazioni. Sensazioni differenti ma comuni, distanti e amalgamate, collegate dallo scorrere di una palla e di una vita disillusa.
Un uomo -Nick Shay- che lavora nello smaltimento rifuiti, la cui vita marca a fondo l'essenza dell'autore e del quadro. Un tratto denso come una stoffa pregiata, un coagulo di situazioni, rappresentazioni decostruite e ricomposte attorno a tanti personaggi, tante storie, a volte brevi o infinite come tutta una vita. 

A parte queste considerazioni, "buttate giù di getto", devo constatare che non è stato semplice leggere un libro del genere, c'è voluto tempo e dedizione, non tanto per la mole -che è indubbiamente considerevole e può spaventare- ma per la struttura, che necessita un’immersione completa nella lettura, in ogni frase, senza perdere di vista il disegno generale.
Interessante il film dentro al libro: Unterwelt -di Ejzenštejn, regista russo e teorico del montaggio cinematografico d'avanguardia-costituisce una metafora del libro stesso, nel titolo (Underworld) e nella struttura della narrazione a ritroso racchiusa nel mondo sottosopra.
Mi è capitato di leggere alcune recensioni negative che a tratti posso anche comprendere: Underworld infatti è un tomo tutt'altro che scorrevole, a tratti pesantuccio. Se però si considera il libro nella sua totalità rimane innegabile la grandezza della sua portata, le ultime 300 pagine, in particolare, sono tra le più belle e espressive mai lette, in questo senso aiutano a comprendere alcune parti, personaggi e dialoghi disseminati all'interno della prima metà. Questo grazie alla struttura del libro stesso che -complicando considerevolmente la vita al lettore- permette attraverso la decostruzione e la frammentazione del testo, che sia proprio chi legge a tracciare il disegno -in modo più che mai personale, poiché alcuni personaggi e riferimenti restano più nitidi ed impressi di altri- delle varie storie e dell'intreccio interno all'affresco.
Non concordo chi sostiene che non c'è una storia, cioè un filo conduttore strutturato, certo non è una trama omogenea e convenzionale ma una più sfumata, fatta di connessioni, di tante storie e tanti personaggi legati in qualche modo, mai banale, l'uno all'altro. E' questa -secondo me- l'essenza della letteratura postmoderna, non può esser ridotta esclusivamente a metalinguaggio, complessità e ricercatezza stilistica; è un'architettura simbolico-narrativa, la ricostruzione di un mondo, la rappresentazione di una società che trasuda dalle storie, l'addensamento di significati, citazioni e substrati nascosti nel testo; e proprio in questo DeLillo si rivela maestro e regista indiscusso: nel creare ed intrecciare vissuti, epoche e storie diverse che si amalgamano in un tutt'uno.


Su una cosa sono d’accordo: arrivati a pag. 500, con considerevole fatica e senza avere dei riferimenti precisi, la lettura può diventare indefinita e talvolta pesante, disarticolata, priva di confini cui ancorarsi o binari fluidi e stabili su cui scorrete. La narrazione può apparire totalmente slegata nelle sue singolarità, che non vada "a parare” da nessuna parte, una scrittura perfetta nella sua vaga imperfezione. Per questo molti abbandonano a questo punto, dove -a mio avviso- è necessaria tanta buona volontà, uno sforzo che in seguito sarà ben ripagato. La verità è situata nell'organizzazione del romanzo, nella sua scrittura realistico-descrittiva-evocativa, ma soprattutto nella ricostruzione che il lettore deve "per forza" mettere in atto per rapportare e confrontare epoche, personaggi, dialoghi e situazioni, poiché tutto è profondamente legato in un modo o nell'altro.
Le ultime 300 pagine donano, in questo senso, nuova linfa alla lettura aiutando il lettore a decodificare il testo, le storie e l'affresco generale, costruendo nuovi stimoli e nuove emozioni, tanto che appena finito l'epilogo -magistrale!- viene una gran voglia di rileggere qualche passo letto mesi fa, che ora -finalmente!- ha assunto pieno significato, una nuova sfumatura tratteggiata sulla tela. 

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