05/04/11

BELFAST: TRA MURALES E TROUBLES. Capitolo uno.

Lo aspettavo con trepidazione, questo plico. Dentro una busta giallognola spedita direttamente dall’Irlanda del Nord scopro con mani tremanti due cose preziosissime: una mappa di Belfast e un vademecum sulle attrazioni turistiche, i tour e gli eventi presenti in città. Dico preziosissime perché l’Ulster – anche se utilizzare questo nome per indicare le sei contee dell’Irlanda del Nord è politicamente scorretto, ma io me ne frego dato che non posso ripetere Irlanda del Nord o Nord Irlanda senza sentirmi molto ripetitiva – dicevo, l’Ulster rappresenta una terra che mi affascina da circa un anno.
Esattamente un anno fa, infatti, avevo iniziato la stesura della mia cara tesi sui murales di Belfast, e da allora la storia e le vicende politiche di questo paese continuano a commuovermi e ad affascinarmi.
Partiamo dal commuovermi: cosa c’è di così emotivo nel seguire le vicende di una guerra civile in una zona che non conosco e che per di più, nel mio caso, non è mai stata visitata? Il merito va tutto a Robert McLiam Wilson, autore di Eureka Street, ovvero uno dei romanzi contemporanei più intensi che abbia mai letto, e che per l’appunto parla di Belfast e dei troubles nordirlandesi nei mesi che precedono e che seguono il trattato di pace dell’agosto 1994.
Ma il trattato di pace di cosa?
E cosa sono questi troubles nordirlandesi?
In effetti non si tratta di un argomento facile da digerire; in più, sarà forse per la mia ancora tenera età, ma di servizi in televisione sui troubles – ovvero sui disordini nel Nord Irlanda – non ne ho mai sentiti molti, tranne per quei casi, per fortuna oggi sporadici, in cui si parla di attentati dimostrativi alle sedi dell’una o dell’altra fazione.
Ma fazioni di che?
Parto dunque dal principio, cercando di riassumere in modo esaustivo ma prepotentemente stringato ciò che è stato il Novecento per l’Irlanda del Nord.
Tralasciando date che ovviamente non ricordo ed evitando di consultare materiale della tesi per far sì che questo articolo abbia un che di spontaneo – cosa che è a tutti gli effetti – credo sia indispensabile tracciare l’identità delle sei contee dell’Ulster, regione in cui si registra la più alta concentrazione di protestanti in un’isola – l’Irlanda, o Eire – con abitanti di fede cattolica.
Ora, la storia irlandese di per sé è molto complicata perché la popolazione di tutta l’Irlanda discende da diverse etnie, tra cui quella scozzese e quella inglese; è importante però chiarire quanto sia evidente la separazione tra le sei contee del nord e il resto dell’isola. Tuttavia, oltre alla distinzione di matrice religiosa (irlandesi cattolici VS nordirlandesi protestanti) ve n’è un’altra altrettanto pericolosa, quella politica: in questa si affrontano gli irlandesi repubblicani e i nordirlandesi lealisti. I primi sono famosi per la volontà di annettere le sei contee alla Repubblica d’Irlanda, mentre i lealisti da sempre si battono per mantenersi sotto l’ala protettrice – anche se ciò è un po’ paradossale vista la storia – dell’Inghilterra; infatti, prima di diventare Repubblica d’Irlanda, l’isola era tutta sotto il dominio inglese, un dominio che attualmente è riservato solamente alle sei contee dell’Ulster.
I troubles di cui parlavo sopra altro non sono che le lotte sanguinosissime protrattesi per ben 25 anni nella seconda metà del xx secolo – dalla fine degli anni ‘60 a metà anni ‘90 – che hanno avuto come protagoniste le fazioni già citate, per poi finire – teoricamente – il 31 agosto 1994 con il trattato di pace unilaterale stipulato dall’IRA (Irish Republican Army, forza paramilitare non riconosciuta ufficialmente dal governo irlandese, anche se…).
Il momento che ha decretato l’inizio dei troubles corrisponde agli anni in cui sono nate le prime proteste pacifiste negli Stati Uniti, in prima linea quelle capeggiate da Martin Luther King: proteste che, inneggiando al rispetto dei diritti umani, avevano coinvolto profondamente gli animi di quei cattolici residenti nelle sei contee dell’Ulster costretti a subire discriminazioni quotidiane per il solo fatto di essere diversi. Discriminazioni di questo tipo non sono certo una novità nel mondo di oggi, però mi ha sempre lasciato un po’ perplessa leggere testimonianze di un odio radicato in modo così profondo, sia perché si tratta di un Paese occidentale, sia perché questi disordini avvengono in un lasso di tempo relativamente recente. Da qui, l’ennesima conferma che la religione porta più danni che guadagni, ma questo è un altro discorso.


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