06/04/11

BELFAST: TRA MURALES E TROUBLES. Capitolo due.

Il 30 gennaio 1972 è una data che si non si dimentica facilmente. In quella tristemente celebre domenica ribattezzata bloody Sunday, una manifestazione cattolica pacifica non autorizzata ha sfilato per le strade di Derry concludendosi poi nel modo più tragico: 13 manifestanti sono stati uccisi dalle forze militari inglesi solo perché si erano presi la libertà – parola decisamente chiave in questo contesto – di scendere per le strade ed esprimere dissenso. Un dissenso direi ampiamente giustificato, dato che la vita per i cattolici all’interno della realtà nordirlandese era tutt’altro che facile: ad esempio, i cattolici non potevano accedere a determinati tipi di impiego, e cosa non da meno, non erano autorizzati a dipingere sui muri delle città.
In effetti, la questione dei murales – ritornando al perché mi affascina così tanto la realtà nordirlandese – è una questione che differisce dalle situazioni extraeuropee, in particolare se si pensa alle vicende messicane. Verso la metà degli anni ‘30, infatti, in Messico si assiste alla nascita dei primi dipinti parietali di carattere politico eseguiti dai rivoltosi: uno strumento di ribellione e di protesta nelle mani del popolo che in questo modo cercava di contrastare chi deteneva il potere.
Nell’Irlanda del Nord questo meccanismo è rovesciato, perché i murales che si diffondono nel primo Novecento hanno la funzione di sostenere il potere dominante: non sono ancora i veri e propri murales di cui parlerò in seguito – anche perché realizzati da artigiani locali ingaggiati da terzi, lontani dalle espressioni spontanee del popolo – però ci fanno capire quanto sia importante per la comunità lealista protestante ricordare a tutti che la loro presenza in questa regione è legittimata dalle vicende storiche. Sui muri delle città dell’Ulster, quindi, ecco apparire ritratti di Guglielmo d’Orange che, vincendo la battaglia sul Boyne, ha decretato l’insediamento dei protestanti nelle sei contee del Nord.


I murales di cui intendo parlare però sono ben altri; si tratta di disegni politici realizzati sui muri delle città – Belfast in prima linea – a partire dalla fine degli anni ’60, eseguiti inizialmente solo dai protestanti: sigle come UVF – Ulster Volunteer Force, corrispettivo protestante dell’IRA, uomini armati, espliciti riferimenti alla corona britannica, il tutto realizzato con colori che rimandano alla Union Jack, ossia il blu il rosso e il bianco. Solamente nei primi anni ’80 i cittadini cattolici residenti nel Nord hanno ottenuto il permesso di esprimere le loro opinioni attraverso i murales, naturalmente in aree limitate, e chi sgarrava rischiava di essere ucciso, anzi veniva ucciso – proprio come è accaduto ad un ragazzo di 16 anni morto con la sola colpa di trovarsi presso un muro con in mano una bomboletta.
Ecco quindi che a Belfast, le due vie principali degli scontri – Shankill (protestante) e Falls Road (cattolica), entrambe molto povere dove si registrava un altissimo tasso di analfabetizzazione – oltre ad essere pericolosissime, diventano gallerie ricche di colore in cui la gente comune si sentiva autorizzata ad esprimere il proprio pensiero con slogan e disegni.
Purtroppo il ruolo dei murales va al di là della mera decorazione, anzi: il desiderio di recare un’immagine diversa alla città non era nelle intenzioni degli artefici dei murales, poiché essi venivano considerati solo come strumenti al servizio delle rispettive comunità. Un dipinto parietale doveva dimostrare la forza di un gruppo su quello rivale, e questo purtroppo poteva anche indurre i terroristi a vendicarsi delle provocazioni subite , rendendo così evidente agli occhi di tutti quanto fosse esasperata la situazione a Belfast negli anni dei troubles.


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